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venerdì 19 aprile 2013

Warp spasm (prima parte)

Le lacrime bagnavano il volto ormai gelido di Odar. Timn non riusciva a non piangere, non riusciva a sostenere la vista del suo sguardo vuoto e perso per sempre. Lo spirito della ragazza era ormai perduto, non avrebbe più stretto la sua amata tra le sue braccia.
«Ti prego, Odar, apri gli occhi», pianse il giovane.
«Inutile», rispose il sovrano. «Non hai speranze contro di me.»
Timn alzò lo sguardo, fissando Tormind con rabbia: si sentiva bruciare dentro, quasi un fuoco ardesse dentro di lui, talmente intenso da fargli perdere il controllo.
Il guerriero si alzò, gettando violentemente le armi a terra. I suoi occhi erano lo specchio del suo spirito guerriero, mentre il corpo fremeva desideroso di combattere. Tormind lo fissò, ma, prima che i suoi gelidi occhi potessero posarsi sul giovane, questo lo colpì al volto con un pugno talmente forte da ammaccare l'elmo.
Furioso, il re urlò, nascondendo la maschera oltraggiata. «Guardie! Liberate il golem!»
Subito scheletri di ghiaccio si adoperarono per soddisfare la volontà del loro signore, smuovendo leve ed ingranaggi che aprirono una porta di ghiaccio colossale. 
Dall'oscurità più gelida uscì una figura mostruosa, un guerriero gigantesco completamente di ghiaccio, con un braccio affilato come una lama e l'altro talmente spesso da poterlo proteggere da qualsiasi colpo: nessun uomo avrebbe potuto vincere contro una tale creatura. Ma Timn non si sentiva più un normale guerriero, spinto da quella furia incontrollabile che gli avrebbe permesso di superare ogni ostacolo facilmente. Il giovane schivò facilmente i fendenti del golem e, dopo aver raccolto agilmente le sue picche, ridusse in frammenti il mostro.
Il re lo fissò, sgomento e soddisfatto al tempo stesso. «Era da tempo che non incontravo un avversario al tuo livello, ma non è sufficiente per me. Vorrà dire che ucciderò il tuo popolo per motivarti abbastanza!», sogghignò minaccioso il re.
«No!», ruggì Timn con voce ormai totalmente deformata. «Non toccarli!»
«Troppo tardi»
Il giovane rimase a bocca aperta, sconvolto. La sua famiglia, il suo popolo sarebbe stato ucciso solamente perché non era abbastanza forte. Perché? Perché esisteva la guerra? Non esisteva né il bene né il male in guerra, perché essa non colpiva soltanto i guerrieri ma anche gli indifesi, chiunque si trovi lungo il suo cammino, schiacciandolo sotto la sua scia di sangue. Ma lui avrebbe combattuto, avrebbe impedito tutto ciò, avrebbe fermato Torind e salvato il suo popolo.
Improvvisamente il suo corpo tremò, le sue membra cominciarono a contorcersi al punto che il suo aspetto cambiò, quasi si deformasse.

Wiki attack!!

Prima di continuare il racconto devo fermarmi per la lezione :)
uuuh che noia! bouf!
mi sembra già di sentire le lamentele, così cercherò di ridurre al minimo la spiegazione :)
La trasformazione che ha dato il nome al titolo è il warp spasm... per quanto assurdo, non ho inventato io il termine e neppure la trasformazione :)
In realtà deriva da un importantissimo poema epico irlandese, il Tain! Il protagonista, Cù Chulainn, eroe epico dalle incredibili qualità, durante la battaglia si trasformava in un mostro, una creatura spaventosa e invincibile. 
Ecco a voi la descrizione del primo warp spasm:
The first warp-spasm seized Cúchulainn, and made him into a monstrous thing, hideous and shapeless, unheard of. His shanks and his joints, every knuckle and angle and organ from head to foot, shook like a tree in the flood or a reed in the stream. His body made a furious twist inside his skin, so that his feet and shins switched to the rear and his heels and calves switched to the front... On his head the temple-sinews stretched to the nape of his neck, each mighty, immense, measureless knob as big as the head of a month-old child... he sucked one eye so deep into his head that a wild crane couldn't probe it onto his cheek out of the depths of his skull; the other eye fell out along his cheek. His mouth weirdly distorted: his cheek peeled back from his jaws until the gullet appeared, his lungs and his liver flapped in his mouth and throat, his lower jaw struck the upper a lion-killing blow, and fiery flakes large as a ram's fleece reached his mouth from his throat... The hair of his head twisted like the tange of a red thornbush stuck in a gap; if a royal apple tree with all its kingly fruit were shaken above him, scarce an apple would reach the ground but each would be spiked on a bristle of his hair as it stood up on his scalp with rage.
                                                                          Thomas Kinsella (translator), The Táin, Oxford University Press, 1969, pp. 150–153

Detto ciò, spero siate ancora interessati al racconto e... buona lettura! :)

La trasformazione (parte seconda)


Timn si voltò: nascosto nell'angolo più buio della sala, su un imponente trono sedeva Tormind, il gelo vivente. Con un rumore raggelante volse la testa verso di lui: il giovane sentiva il peso di quello sguardo glaciale, nonostante avesse il volto nascosto da una maschera. «Ne hai fatta di strada, ragazzo. Cosa cerchi qui, i tuoi amici? Sono vivi, spero, proprio qui, nella sala alle mie spalle. Non mi credi? Eccotene una prova.»Tirando una catena, una figura femminile si liberò dalle tenebre, cadendo sul pavimento ghiacciato. Nonostante fosse ridotta agli stenti, Timn riconobbe all'istante l'amata. Tormind congelò la catena, spezzandola. «Va', sei libera», ordinò indifferente.Odar si lanciò verso il giovane, incredula e felice nel rivederlo. Corse verso di lui, finalmente riuniti, nonostante l'attacco di quei mostri. Dopo tre passi, improvvisamente la giovane si accasciò a terra; non era esausta, ma congelata.Timn rimase sgomento, mentre il sovrano rise. «Oh! Scusa, che sbadato, devo aver esagerato! Ma stai tranquillo, non è morta, almeno non ancora. Devi solo scongelarla prima che sia troppo tardi, ma l'unica soluzione è uccidermi.» Rise nuovamente, crudele. «Considerando che tu non hai alcuna speranza contro di me, in effetti sì, hai ragione, è morta.»Timn fissò l'amata, furioso. I suoi muscoli tremavano, contraendosi in preda alla rabbia. Urlò, incapace di trattenersi ancora, mentre il dolore alla testa aumentava sempre più, risvegliando in lui una furia mai provata, talmente forte da fargli desiderare di distruggere ogni cosa attorno a lui. Si sentiva diverso, quasi invincibile, indistruttibile.Avrebbe vinto.

La trasformazione (parte prima)

Cadde di nuovo nella neve. Le mani, ferite dal freddo, si aggrapparono alla roccia; doveva resistere, doveva salvarla. Colpì con un pugno il terreno, strinse i denti e si alzò. Si chiuse in sé stesso, sperando di poter resistere al freddo: la bufera infuriava e la strada era sempre più impervia. Avanzò ancora, mentre gli stivali affondavano, cercando la via per scalare la montagna.
Ripensò al suo popolo, alle sofferenze che stava sopportando; doveva reagire, non sarebbero sopravvissuti senza di lui, già troppo erano morti a causa di quei mostri.
Quei demoni, ombre malvagie senza alcuna pietà, ossessionavano la sua mente, tormentandolo con i più cupi ricordi. Avevano massacrato i suoi compagni e rapito donne e bambini. Per la rabbia, qualcosa in lui si stava risvegliando, nascosto da sempre nel suo spirito.
Era sempre stato più emotivo degli altri, perciò riteneva normale la rabbia che provava, talmente intensa che credeva avrebbe potuto distruggere il suo corpo; non fece alcun caso alle membra che tremavano, credeva fosse soltanto freddo quello che provava.
Finalmente davanti ai suoi occhi qualcosa apparve, non più nascosto nella neve: un palazzo, vecchio di secoli, si ergeva sulla montagna, imponente e terrificante, con un portale talmente ampio da poter far passare un gigante.
Timn non sapeva come avrebbe fatto a passare, era solo un ragazzo, non aveva neppure la barba ancora, né si era mai dimostrato un valoroso guerriero.
Toccò il ciondolo che portava al collo, un vecchissimo dono della sua amata. Ogni volta che fissava quella pietra, identica agli occhi dell'amata, ripensava a lei, così dolce e bella. Avrebbe combattuto, avrebbe salvato la sua amata Odar.
Strinse il suo bastone, lanciandosi contro la porta. Due guardie di ghiaccio, fisse davanti la porta, puntarono le loro lance verso il giovane, ma questo frantumò il volto scheletrico di una della due, poi spinse l'altra giù per la scarpata. Si sentiva diverso, sentiva una forza crescere dentro di lui, desiderava combattere come mai prima d'ora.
Con una forte spallata ruppe il ghiaccio che sigillava la porta, spalancandola; subito, quasi lo stessero aspettando, dalle nicchie lungo le pareti si staccarono dei soldati di ghiaccio, armati di lame affilate e vitree. Senza alcun timore, Timn legò il vecchio bastone alla schiena e lentamente afferrò le due fedeli piccozze con cui si era arrampicato sulla montagna: urlando, con tutto il suo coraggio si lanciò contro i nemici, frantumando  il ghiaccio sotto i suoi colpi, lottando con una foga indescrivibile e mai provata.
Affrontando frotte di nemici si trovò in un'ampia sala, vuota, totalmente ghiacciata e immersa in una semi oscurità. Sembrava non ci fosse nessuno, eppure doveva trovare una vittima su cui sfogare la sua rabbia. Le membra gli tremavano, quasi fosse preda di spasmi incontrollabili, ma ciò che più lo tormentava era il dolore alla testa, quasi gli dovesse esplodere da un momento all'altro.
«Ben arrivato», annunciò una voce fredda e crudele.

(Temporaneo) ritorno

Ciao a tutti :) perdonate la mia lunga assenza, ma per varie ragioni non sono riuscito ad aggiornare il blog... Spero che i miei due lettori non abbiano sentito la mia mancanza!
Comunque non torno a mani vuote, anzi... ho in preparazione due racconti e per di più ho in serbo alcune sorprese per voi :)
intanto eccovi la prima parte di uno dei due racconti :) spero di vedere apprezzamenti :) commentate pure i racconti, non siate timidi :)

martedì 12 marzo 2013

Chi l'avrebbe mai detto!

Veramente!! E' incredibile vedere una propria creatura prendere forma, non essere più solamente fatta di parole, ma divenire una vera e propria immagine!! :) beh il creaturo (non so che nome dargli, consigliatemi voi!) del racconto "Il tesoro" ha finalmente fatto la sua apparizione!! Ringrazio veramente il mio caro amico Carlo per avermi fatto questo favore, e consiglio a tutti voi di andare a vedere non solo il creaturo qui, ma tutto il suo blog, con spettacolari disegni!!
Grazie ancora!

mercoledì 6 marzo 2013

La fuga

Non appena si avvicinò all'ombra di un grosso albero, il guerriero conficcò la pesante spada nel terreno, al riparo dall'opprimente calura. La possente mole nera occupava completamente lo spiazzo, mentre il sudore bagnava la massiccia muscolatura: aveva corso dall'alba e ora era stremato. Prese dalla sacca un pezzo di pane e, dopo averlo fissato a lungo, assorto nei suoi pensieri, l'addentò voracemente.
Nonostante tutto, sentiva ancora il sapore del sangue, sangue innocente versato a causa della sua foga; persino i tatuaggi sulle braccia sbiadivano lentamente, ricordo della sua recente metamorfosi. Si voltò: la spada brillava al sole, sporca di sangue, macchiata in modo permanente dai suoi crimini; ai suoi occhi non appariva più come una spada, ma come la mannaia di un boia, di un carnefice crudele.
Odiava la sua razza, odiava i tatuaggi che il padre gli aveva inciso quando era diventato adulto. Ogni volta che in lui tornava quella foga, quella mostruosa sete di sangue, quei segni arcani lo bruciavano da dentro, illuminandosi come fiamme.
Se solo non fosse stato un Cient, tutto sarebbe stato diverso. Era persino fuggito da Uram, la sua patria, nella speranza che, allontanandosi dal suo popolo, avrebbe potuto placare la sua sete.
Menzogne! Neppure vivendo da eremita aveva potuto redimersi: di notte, nel sonno, la foga prendeva il sopravvento e lui, marionetta nelle mani del suo istinto, era costretto ad andare a caccia, a soddisfare i suoi appetiti.
Il gigante si alzò, le lacrime solcavano quella pelle nera come la notte e dura come il corno: avrebbe continuato il suo cammino, fuggendo in eterno da sé stesso.

martedì 5 marzo 2013

La prigione (parte seconda)

Arewen gli strinse il polso, curiosa come solo i bambini sanno essere. «E poi cos'è successo? Cosa avete fatto?»
Enhand deglutì, tormentato. «Niente, ci siamo semplicemente rifiutati di aiutarli. Sai, spesso rimpiango di non aver agito con violenza, se li avessi spaventati ora tua madre sarebbe viva. I mortali non accettarono il nostro rifiuto e, approfittando delle tenebre, ci attaccarono; tua madre fu la prima vittima della loro crudeltà. Eppure non potevamo difenderci, non riuscivamo a liberarci di quella dannata sensibilità. Per me fu diverso. Nell'istante in cui tua madre cadde tra le mie braccia, qualcosa in me cambiò, il mio spirito rifiutò la sua umanità, trasformandomi in un vero e proprio dio. Negli occhi di quegli esseri vidi venerazione timorosa, ma non me ne importava nulla. Ero cambiato, non ero più Enhand, ma l'universo stesso; non seguivo ciò che era giusto, ma ciò che era necessario. Così, con un solo sguardo, ridussi in cenere i mortali; poi, nello stesso luogo in cui tua madre morì, eressi questa torre inespugnabile, al cui interno sigillai tutti noi.»
Arewen lo fissò, furiosa. «Ma non è giusto!»
Enhand scosse la testa, afflitto. «Non ho fatto ciò che è giusto, ma ciò che è necessario»
Furiosa, Arewen si allontanò dal padre, totalmente chiuso in sé stesso, quasi assorto, mentre dentro di lui sapeva che la bambina aveva ragione.
La dea si avvicinò lentamente alla porta nera, immutabile, fusa con le stesse pareti. L'aveva sempre spaventata, quasi le togliesse il respiro, la schiacciasse. Se solo avesse potuto uscire da lì, non desiderava altro. Appoggiò timorosa la mano, toccando la porta con le lacrime agli occhi.
La porta cominciò a tremare, quasi avesse ascoltato i suoi desideri; Arewen la fissò entusiasta, ma questa non si aprì, era ancora sigillata all'interno di quella maledetta torre.
Si allontanò, delusa, cercando conforto ammirando il suo amato paesaggio; alle sue spalle, dolcemente, un ramo d'edera cominciò ad infiltrarsi all'interno della torre, aprendo leggermente la porta.

La prigione (parte prima)

Arewen posò le sue piccole mani sulla balaustra, cercando di vedere il paesaggio sottostante. Dall'alto della torre tutto sembrava così piccolo agli occhi della bambina.
Si volse verso il padre, timorosa. «Papà?»
Enhand la fissò con i suoi profondi occhi bianchi, prova della sua divinità. «Dimmi, figliola, che succede?»
La bambina ricambiò lo sguardo, guardando il padre con espressione stupita. «Perché lasciamo soffrire la gente? Non siamo dei, noi?»
L'uomo sorrise: Arewen era sempre stata una bambina molto perspicace, ma soprattutto si era sempre preoccupata dei più deboli. «È difficile da spiegare, Arewen», sospirò, cercando di trovare le parole giuste per non far soffrire la figlia. «Non siamo sempre stati nascosti in questa torre, ti ricordo che, in fondo, siamo stati umani un tempo, l'unica ad essere dea dalla nascita sei tu, figlia mia, per questo non conosci le ragioni del nostro esilio.»
Arewen fissò il padre, non capendo ciò che le volesse raccontare.
«Molti secoli fa vivevamo in comunione con gli umani, noi stessi lo eravamo. Col passare del tempo, però. qualcosa in noi cambiò, anzi, forse non siamo mai stati totalmente mortali: fin da piccoli avevamo sviluppato una sensibilità unica, percependo l'universo e le sue leggi, entrando in comunione con esso e infine diventando noi stessi l'universo. A seconda delle nostre attitudini sviluppammo capacità uniche, dal controllare gli elementi s poter persino riportare in vita i morti. Ma non eravamo neppure totalmente dei, la nostra sensibilità ci impediva di essere neutrali di fronte alle sofferenze dei mortali, anzi ci costringeva ad aiutarli; certo, non potevamo alterare l'ordine dell'universo, ma con piccoli rimedi rendevamo loro la vita più semplice.»
Sospirò, deluso. «Non tutti gli umani, però, vivono in comunione con la natura: molti sono avidi, desiderosi di potere, assetati di sangue; per loro noi eravamo armi da sfruttare, semplici strumenti per poter sottomettere i più deboli. Ovviamente ci opponemmo, ma vedi, Arewen, i mortali sono vendicativi, provano sentimenti che fortunatamente noi non possiamo neppure immaginare.»

venerdì 22 febbraio 2013

ll tesoro (parte terza)

La creatura non si arrese, anzi, reggendosi con un solo artiglio conficcato nelle travi, mentre l'altra zampa cercava di afferrare il ladro. Sinor capì che l'unico modo per uccidere quella creatura era farla cadere: spiccando un poderoso balzo, il cercatore le si lanciò alle spalle, pronto a colpirla con una freccia esplosiva alla schiena. Ferita, la creatura ruggì, cadendo nell'oscurità.
Allontanatosi dalla rocca, il giovane si sedette su una roccia, esausto. Sebbene fosse ancora titubante, si decise ad aprire lo scrigno, bramoso di stringere il suo tesoro.
Vuoto, il forziere era vuoto. Agitò il forziere, sperando di trovare almeno una traccia del tesoro. Niente, qualcuno l'aveva preceduto. Lanciò il forziere a terra, imprecando. Quel dannato ladro l'aveva preceduto, di nuovo! Ma non gli avrebbe reso la vita facile, prima o poi l'avrebbe raggiunto e il tesoro sarebbe stato suo. La caccia non era ancora finita.

Il tesoro (parte seconda)

Come poteva prenderlo, si chiese. La creatura era troppo forte per lui, un attacco diretto alla creatura sarebbe stato folle. Lentamente prese dalla sua sacca una corda abbastanza elastica e la legò ai capi del lungo bastone che portava con sé, poi afferrò una freccia, mirando al collo della creatura. Persino un dardo magico non avrebbe avuto alcun effetto su quella pelle coriacea, ma se fosse riuscito a colpire l'anello che reggeva lo scrigno, allora questo sarebbe certamente caduto nelle sue mani; il resto del lavoro l'avrebbero compiuto le sue gambe.
I suoi occhi scintillarono, la freccia saettò, il fragile anello arrugginito si ruppe; il forziere cadde velocemente tra le mani del cercatore, proprio tra le gambe del mostro. La creatura lo fissò con i suoi tre occhi feroci, poi, inaspettatamente, alzò le possenti braccia, lanciando un urlo agghiacciante, che paralizzò l'uomo: come per magia le statue sembrarono risvegliarsi dal loro lungo sonno, pronte a catturare il ladro. Vedendosi circondato da picche di roccia, Sinor fuggì via, una mano stringeva saldamente l'arco, mentre l'altra reggeva il forziere. Non appena uscì dalla sala, vide giungere da tutti i corridoi frotte di soldati di pietra, che avanzavano con passi ritmati e le lance puntate; capendo di non aver speranza, si lanciò fuori da una delle ampie finestre, fuggendo sul tetto.
I guerrieri cercarono di seguirlo ma, privi di agilità, caddero giù dalla rocca, tornando ad essere polvere inerme. Sfortunatamente la bestia era molto più abile: distruggendo parte della torre, uscì dal tetto, aiutandosi con i lunghi artigli che incidevano la roccia, mentre dalla bocca colava della bava e gli occhi cercavano l'umano; non appena lo scorse, ferocemente si lanciò in una rapida corsa.
Sinor sapeva che le frecce non avrebbero arrecato alcun danno a quel mostro, ma doveva comunque agire rapidamente, prima che la creatura lo attaccasse. Afferrò una delle sue frecce esplosive, colpendo il tetto: subito parte della torre crollò, schiacciando i soldati sotto il suo peso; eppure la bestia, incurante, continuò a correre, saltando la voragine. Ormai pochi passi di distanza dividevano i due, l'ombra del mostro copriva completamente il giovane, mentre gli artigli affilati si avvicinavano sempre di più; improvvisamente il terreno cedette, crollando e trascinando con sé il guardiano.

mercoledì 20 febbraio 2013

Il tesoro (parte prima)

L'ombra silenziosa corse lungo il corridoio, totalmente immersa nelle tenebre; neppure i suoi passi o il suo respiro erano udibili, eppure non si sentiva sicuro, la mano destra stringeva il manico del lungo pugnale in cerca di protezione.
Si fermò improvvisamente, colpito dall'ampio ingresso della sala: le porte rivestite di marmo erano rifinite con decorazioni in oro, mentre l'arco illustrava scene epiche della vita del sovrano. Erano passati secoli da quando qualcuno aveva osservato quelle incisioni così ricche, ma non era interessato al tesoro, ma solo a quella cosa: l'aveva ricercata in ogni castello, in ogni fortezza e, dopo anni e anni di cammino, era ormai certo di trovarla lì, nella rocca di Daif.
Respirò profondamente, timoroso di aprire la porta: sapeva di poter aspettarsi di vedere ogni paura che la sua mente avrebbe potuto generare trasformarsi in realtà. Cercando di fare il minimo rumore, Sinor spinse leggermente la porta e si insinuò nella sala, celandosi nelle tenebre.
I suoi occhi gialli esplorarono la sala, illuminata da ampie finestre decorate e coperta da ampie volte rivestite con mosaici. La calma totale lo innervosiva, mentre attendeva accadesse qualcosa; eppure era solo, la sua unica compagnia erano dei guerrieri in pietra posti davanti i pilastri, guardiani tanto immobili quanto severi. Si coprì il volto con il cappuccio del mantello, diventando egli stesso un ombra; eppure non poteva ancora muoversi, non riusciva a trovare ciò che cercava.
Improvvisamente la terra tremò, una, due, parecchie volte, mentre qualcosa si trascinava pesantemente all'interno della sala, facendo il suo ingresso da un'entrata laterale. La luce fioca illuminò parte dopo parte la mostruosa figura, guardia del tesoro. Il corpo era completamente glabro, con gambe corte e tozze, che gli conferivano l'andatura pesante e strascicata, coperte in parte dal ventre cadente. Il busto, su cui erano ben visibili le costole, era rivolto in avanti, sostenuto dai lunghi arti, i cui artigli incidevano il pavimento roccioso. Non appena Sinor fissò il mostruoso volto, inorridì: le fauci simili a quelle di un roditore, ma con denti di drago, erano sovrastate da quattro occhi fiammeggianti, uno per direzione, e le cui pupille da rettile scrutavano feroci la sala, cercando un'eventuale intruso. Sinor si sarebbe rassegnato, se i suoi occhi non avessero notato un dettaglio fondamentale, che non aveva notato prima: il collo del mostro era stretto da una catena, da cui pendeva un piccolo forziere. Aveva finalmente trovato ciò che cercava.

martedì 19 febbraio 2013

Spes (parte seconda)

Spes fu subito circondato da nemici; con un rapido movimento uccise tre di loro con la spada e lo scudo, ma erano comunque troppi, non avrebbe resistito a lungo. I guerrieri dalle lunghe asce lo attaccarono, ringhiando, più simili a bestie che a uomini ormai; combatté coraggiosamente, ma i colpi subiti erano sempre più dolorosi e, alla fine, cedette.
Si inginocchiò a terra, coperto da ferite e circondato da animali feroci, pronti a distruggerlo; ma non si sarebbe arreso, avrebbe combattuto con tutte le sue forze. Si alzò in piedi, i guerrieri spaventati dal suo grido, indietreggiarono«Non mi arrenderò mai!», urlò. Strinse la sua spada, Rong, la furia degli dei, pronto a combattere i nemici: non gli interessava sopravvivere, l'unica cosa importante era fermarli, proteggere il suo popolo, come aveva giurato.Gridò, gli occhi minacciosi e furiosi, mentre il suo spirito guerriero cominciava a scatenarsi sempre più; gettò lo scudo e lasciò cadere il mantello, ormai lacero, mentre il petto si gonfiava con un ritmo sempre più frenetico e il vento muoveva i capelli neri del giovane. Con un ultimo e coraggioso urlo si lanciò contro i nemici, pronto a combattere dando anche la vita.

Spes (parte prima)

Il guerriero alzò gli occhi al cielo; sospirò, il tempo stava per scadere. Fissò le stelle, che, mute sopra le loro teste, non avevano impedito la guerra; forse non agivano perché avevano già previsto che, in fondo, quella era l'ultima battaglia.
Si morse le labbra, visibilmente teso. La guerra continuava da bene due lune e più tempo passava più il popolo dalle grandi asce avanzava. Nessuno sapeva chi fossero, né da dove venissero: un giorno erano approdati sulle loro coste, sbarcando da navi di dimensioni indescrivibili, talmente imponenti da oscurare il cielo. Le loro intenzioni erano tutt'altro che pacifiche e i nativi se ne accorsero presto, sopraffatti dalla furia delle asce.
Si alzò, stringendo la lunga lancia nella mano sinistra, mentre la spada pendeva al suo fianco. Abbassò il volto, solo su quella pianura, mentre tutti gli altri erano fuggiti approfittando delle tenebre. Non erano codardi, ma prudenti, Spes stesso non li biasimava, era rimasto l'unico guerriero della regione.
Le loro formazioni non avevano retto sin dal primo giorno: le loro difese non potevano nulla contro la foga di quei guerrieri che, ringhiando ed ululando, abbattevano i loro uomini con le gigantesche asce; si voltò, sfiorando con un dito il suo scudo, memore di quella battaglia. Il giorno successivo fu la volta dei giovani, le lacrime solcarono il volto di Spes mentre ricordava: per quanto prodi e coraggiosi, i loro guerrieri non poterono affrontare gli stranieri, vestiti solamente di pelli d'orso. Fu l'unico a sopravvivere e lentamente anche i veterani, sopraffatti dal dolore, lo abbandonarono, mentre le donne si rivolgevano a lui disperate.
Il sole fu abbastanza alto da illuminare l'orizzonte, mentre i guerrieri avanzavano verso di lui, guidati come sempre dal loro re, vestito di una pelliccia nera. Quando furono a pochi passi di distanza dal guerriero solitario, il sovrano fermò il suo esercito, che ringhiava bramoso di lottare.
Werber fissò il giovane, osservando con disprezzo il lupo bianco sullo scudo e quei segni blu sulle braccia, adorni adatti solo alle donne, le uniche che potevano portare i capelli lunghi come il giovane. Non era la prima volta che si affrontavano: aveva ucciso il giovane principe del popolo delle lance e quel ragazzo, furioso, gli aveva lasciato sul volto una cicatrice, a cui aveva risposto sfregiandogli il petto abbronzato per sempre. Non appena lo vide, Werber si mise a ridere: se la loro ultima difesa era quel giovane, entro la fine della giornata avrebbero preso anche la capitale del popolo delle lance.
Spes, pensò il giovane, questo era il suo nome. Questo era il nome che suo padre gli diede su consiglio degli oracoli: avevano predetto per lui un grande destino, lui avrebbe portato la speranza al popolo quando tutti l'avrebbero perduta. Guardò le stelle e sorrise; ora sapeva ogni cosa anche lui.
Non appena li sentì ridere, strinse la lancia e corse verso il suo nemico, pronto a vendicare il principe; questo non finì neppure di ridere, che la morte lo colse all'istante: con le ultime forze fissò la lancia conficcata nel suo petto, poi si accasciò a terra.

Benvenuti

Salve a tutti!! Sono un giovane studente che ama creare storie fantastiche. A causa di impegni scolastici non posso più impegnarmi in grossi racconti, come mi piacerebbe, ma la mia mente continua a sfornare idee e... beh qui raccolgo i risultati!! Grazie per l'attenzione!
(ps. ho dovuto cambiare blog per vari motivi, questo è quello nuovo)