Arewen gli strinse il polso, curiosa come solo i bambini sanno essere. «E poi cos'è successo? Cosa avete fatto?»
Enhand deglutì, tormentato. «Niente, ci siamo semplicemente rifiutati di aiutarli. Sai, spesso rimpiango di non aver agito con violenza, se li avessi spaventati ora tua madre sarebbe viva. I mortali non accettarono il nostro rifiuto e, approfittando delle tenebre, ci attaccarono; tua madre fu la prima vittima della loro crudeltà. Eppure non potevamo difenderci, non riuscivamo a liberarci di quella dannata sensibilità. Per me fu diverso. Nell'istante in cui tua madre cadde tra le mie braccia, qualcosa in me cambiò, il mio spirito rifiutò la sua umanità, trasformandomi in un vero e proprio dio. Negli occhi di quegli esseri vidi venerazione timorosa, ma non me ne importava nulla. Ero cambiato, non ero più Enhand, ma l'universo stesso; non seguivo ciò che era giusto, ma ciò che era necessario. Così, con un solo sguardo, ridussi in cenere i mortali; poi, nello stesso luogo in cui tua madre morì, eressi questa torre inespugnabile, al cui interno sigillai tutti noi.»
Arewen lo fissò, furiosa. «Ma non è giusto!»
Enhand scosse la testa, afflitto. «Non ho fatto ciò che è giusto, ma ciò che è necessario»
Furiosa, Arewen si allontanò dal padre, totalmente chiuso in sé stesso, quasi assorto, mentre dentro di lui sapeva che la bambina aveva ragione.
La dea si avvicinò lentamente alla porta nera, immutabile, fusa con le stesse pareti. L'aveva sempre spaventata, quasi le togliesse il respiro, la schiacciasse. Se solo avesse potuto uscire da lì, non desiderava altro. Appoggiò timorosa la mano, toccando la porta con le lacrime agli occhi.
La porta cominciò a tremare, quasi avesse ascoltato i suoi desideri; Arewen la fissò entusiasta, ma questa non si aprì, era ancora sigillata all'interno di quella maledetta torre.
Si allontanò, delusa, cercando conforto ammirando il suo amato paesaggio; alle sue spalle, dolcemente, un ramo d'edera cominciò ad infiltrarsi all'interno della torre, aprendo leggermente la porta.
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