Cadde di nuovo nella neve. Le mani, ferite dal freddo, si aggrapparono alla roccia; doveva resistere, doveva salvarla. Colpì con un pugno il terreno, strinse i denti e si alzò. Si chiuse in sé stesso, sperando di poter resistere al freddo: la bufera infuriava e la strada era sempre più impervia. Avanzò ancora, mentre gli stivali affondavano, cercando la via per scalare la montagna.
Ripensò al suo popolo, alle sofferenze che stava sopportando; doveva reagire, non sarebbero sopravvissuti senza di lui, già troppo erano morti a causa di quei mostri.
Quei demoni, ombre malvagie senza alcuna pietà, ossessionavano la sua mente, tormentandolo con i più cupi ricordi. Avevano massacrato i suoi compagni e rapito donne e bambini. Per la rabbia, qualcosa in lui si stava risvegliando, nascosto da sempre nel suo spirito.
Era sempre stato più emotivo degli altri, perciò riteneva normale la rabbia che provava, talmente intensa che credeva avrebbe potuto distruggere il suo corpo; non fece alcun caso alle membra che tremavano, credeva fosse soltanto freddo quello che provava.
Finalmente davanti ai suoi occhi qualcosa apparve, non più nascosto nella neve: un palazzo, vecchio di secoli, si ergeva sulla montagna, imponente e terrificante, con un portale talmente ampio da poter far passare un gigante.
Timn non sapeva come avrebbe fatto a passare, era solo un ragazzo, non aveva neppure la barba ancora, né si era mai dimostrato un valoroso guerriero.
Toccò il ciondolo che portava al collo, un vecchissimo dono della sua amata. Ogni volta che fissava quella pietra, identica agli occhi dell'amata, ripensava a lei, così dolce e bella. Avrebbe combattuto, avrebbe salvato la sua amata Odar.
Strinse il suo bastone, lanciandosi contro la porta. Due guardie di ghiaccio, fisse davanti la porta, puntarono le loro lance verso il giovane, ma questo frantumò il volto scheletrico di una della due, poi spinse l'altra giù per la scarpata. Si sentiva diverso, sentiva una forza crescere dentro di lui, desiderava combattere come mai prima d'ora.
Con una forte spallata ruppe il ghiaccio che sigillava la porta, spalancandola; subito, quasi lo stessero aspettando, dalle nicchie lungo le pareti si staccarono dei soldati di ghiaccio, armati di lame affilate e vitree. Senza alcun timore, Timn legò il vecchio bastone alla schiena e lentamente afferrò le due fedeli piccozze con cui si era arrampicato sulla montagna: urlando, con tutto il suo coraggio si lanciò contro i nemici, frantumando il ghiaccio sotto i suoi colpi, lottando con una foga indescrivibile e mai provata.
Affrontando frotte di nemici si trovò in un'ampia sala, vuota, totalmente ghiacciata e immersa in una semi oscurità. Sembrava non ci fosse nessuno, eppure doveva trovare una vittima su cui sfogare la sua rabbia. Le membra gli tremavano, quasi fosse preda di spasmi incontrollabili, ma ciò che più lo tormentava era il dolore alla testa, quasi gli dovesse esplodere da un momento all'altro.
«Ben arrivato», annunciò una voce fredda e crudele.
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