Curioso aprì la lettera, il cui contenuto era pressappoco questo:
Figliolo, mi dispiace averti ignorato per così tanto tempo, ma ora devo affidarti la mia Macchina. Sul tavolo troverai un tappo; sulla Macchina è presente una leva molto lunga, l'unica senza tappo. Vai, inseriscilo e completa la mia opera. Non pensare sia un compito stupido, è molto importante: quella è la leva di accensione. Ma non attivare la macchina qui, ti prego! Portala di notte nella torre più alta del paese, e solo in quel momento potrai accenderla. Questo è il mio dono per te figliolo.
Grazie di tutto.
Non appena completò il compito, il giovane rifletté. La città non aveva torri, gli edifici più alti erano i camini delle fabbriche e il campanile. Il campanile! Era un'idea perfetta, ma doveva agire nel buio della notte, altrimenti quel fanatico del parroco avrebbe distrutto quello che lui considerava uno strumento del diavolo.
Facendosi aiutare da un amico fidato, portò la misteriosa invenzione nel campanile e la accese. Subito i pistoni cominciarono a muoversi e il volano girò sempre più velocemente, causando un frastuono infernale. Ma dopo qualche minuto la macchina non aveva compiuto alcun lavoro, non aveva prodotto nulla eccetto quel dannato rumore.
E fu proprio quello a svegliare il parroco, che corse verso il campanile armato di una croce, pronto a distruggere quel demone di ferro; ma non appena superò l'ultimo gradino, lasciò cadere la croce e corse verso la terrazza. I due giovani, perplessi, lo imitarono e rimasero a bocca aperta: dopo più di trent'anni le nubi si stavano diradando e la luna piena si rivelò in tutto il suo splendore, abbellita da una collana di stelle. Preso dalla gioia, il sacerdote suonò le campane a festa, affinché tutti vedessero lo spettacolo.
La gente, incuriosita dalle campane, si affacciò alle finestre: subito tutti furono stupiti e cominciarono a indicare le stelle, a cercare di riconoscere le costellazioni di cui avevano solo sentito parlare.
Il giovane sorrise, mentre guardava la luna. Quello era il dono di suo padre.
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martedì 14 gennaio 2014
Il dono del padre (parte 1)
Finalmente poteva entrare nel laboratorio di suo padre e vedere la "macchina".
Non ricordava un singolo giorno in cui suo padre non si chiudesse dietro la porta blindata che lui stesso aveva costruito. Eppure nessuno aveva mai visto cosa fosse questo suo progetto, né quale fosse lo scopo; chiunque chiedesse informazioni riceveva un secco rifiuto. «Non è ancora pronta!», ripeteva.
Sua madre diceva che l'aveva sempre visto lavorare a quel progetto, qualche anno dopo che il cielo fosse oscurato per sempre dai fumi delle fabbriche a carbone. La povera donna doveva così occuparsi della casa e del sostentamento dell'unico figlio e del "meccanico pazzo", come ormai lo chiamavano in paese.
Morì di dolore qualche anno dopo; ma lui, ossessionato dal suo progetto, non andò neppure al funerale, anzi continuò a lavorare con più foga, quasi sentisse che la morte era vicina. Effettivamente non aveva tutti i torti: i segni della malattia si fecero sempre più evidenti sul suo volto.
Una sera, improvvisamente, dopo aver lavorato più intensamente del solito, si accasciò e con il suo ultimo respiro annunciò: «È quasi completata, ora tocca a te».
Finalmente aveva le chiavi e poteva scoprire cosa aveva costruito suo padre. Il sospetto che la macchina fosse un inutile aggregato di ingranaggi era grande, ma non voleva credere che suo padre fosse impazzito. Aprì, facendosi coraggio, e subito si lanciò ad osservare la macchina. Non aveva niente di speciale, era grande quasi quanto una caldaia, con numerosi tubi di scarico e una serie di cilindri. Si voltò: sul tavolo da lavoro non c'era nulla, eccetto una busta e un tappo.
Non ricordava un singolo giorno in cui suo padre non si chiudesse dietro la porta blindata che lui stesso aveva costruito. Eppure nessuno aveva mai visto cosa fosse questo suo progetto, né quale fosse lo scopo; chiunque chiedesse informazioni riceveva un secco rifiuto. «Non è ancora pronta!», ripeteva.
Sua madre diceva che l'aveva sempre visto lavorare a quel progetto, qualche anno dopo che il cielo fosse oscurato per sempre dai fumi delle fabbriche a carbone. La povera donna doveva così occuparsi della casa e del sostentamento dell'unico figlio e del "meccanico pazzo", come ormai lo chiamavano in paese.
Morì di dolore qualche anno dopo; ma lui, ossessionato dal suo progetto, non andò neppure al funerale, anzi continuò a lavorare con più foga, quasi sentisse che la morte era vicina. Effettivamente non aveva tutti i torti: i segni della malattia si fecero sempre più evidenti sul suo volto.
Una sera, improvvisamente, dopo aver lavorato più intensamente del solito, si accasciò e con il suo ultimo respiro annunciò: «È quasi completata, ora tocca a te».
Finalmente aveva le chiavi e poteva scoprire cosa aveva costruito suo padre. Il sospetto che la macchina fosse un inutile aggregato di ingranaggi era grande, ma non voleva credere che suo padre fosse impazzito. Aprì, facendosi coraggio, e subito si lanciò ad osservare la macchina. Non aveva niente di speciale, era grande quasi quanto una caldaia, con numerosi tubi di scarico e una serie di cilindri. Si voltò: sul tavolo da lavoro non c'era nulla, eccetto una busta e un tappo.
Warp spasm (conclusione)
Spasmi violenti percorsero il corpo del povero ragazzo, mentre Wint rimase fermo al suo posto: paralizzato dalla paura, il sovrano non riusciva ad attaccare il giovane, che ora ruggiva furioso. Finalmente, dopo lunghi interminabili istanti, la metamorfosi fu completa: al posto del combattente apparve una figura orrenda, colossale e mostruosa, un demone talmente spaventoso che il dio dovette sforzarsi per trovare il coraggio di attaccarlo. Con sua sorpresa non era soltanto mostruoso, ma pure straordinariamente forte e veloce, tanto che con pochissimi colpi riuscì a ferirlo gravemente.
Un mortale lo stava sconfiggendo! Lui, un dio! Non poteva accettarlo, quel ragazzino doveva morire!
Con i suoi poteri magici trasformò la sua mano in una lunga lama di ghiaccio, talmente resistente da poter tagliare l'acciaio.
Ma nulla poteva contro quel mostro: per quanto potesse essere affilata, la sua lama si infranse a contatto con la sua pelle; la bestia contrattaccò, abbattendosi con ferocia sul sovrano e aggredendolo brutalmente. Wint, steso a terra, cercò di proteggersi, ma non poteva contrastare quella creatura di gran lunga superiore persino agli dei. Quello non era più un mortale, ma un demone dalla forza inaudita: se non poteva combatterlo, l'avrebbe portato dalla sua parte.
«Ascolta, posso riportare qui i tuoi amici! Non sono morti, solo congelati! Guarda, eccoli! E se mi servirai salverò anche la tua amata! Pensa, se sarai al mio fianco potremo dominare il mondo assieme!»
Subito tutto il popolo di Timn fu scongelato e riportato in vita; eppure il mostro continuò a ringhiare, pronto a colpire ancora.
Un mortale lo stava sconfiggendo! Lui, un dio! Non poteva accettarlo, quel ragazzino doveva morire!
Con i suoi poteri magici trasformò la sua mano in una lunga lama di ghiaccio, talmente resistente da poter tagliare l'acciaio.
Ma nulla poteva contro quel mostro: per quanto potesse essere affilata, la sua lama si infranse a contatto con la sua pelle; la bestia contrattaccò, abbattendosi con ferocia sul sovrano e aggredendolo brutalmente. Wint, steso a terra, cercò di proteggersi, ma non poteva contrastare quella creatura di gran lunga superiore persino agli dei. Quello non era più un mortale, ma un demone dalla forza inaudita: se non poteva combatterlo, l'avrebbe portato dalla sua parte.
«Ascolta, posso riportare qui i tuoi amici! Non sono morti, solo congelati! Guarda, eccoli! E se mi servirai salverò anche la tua amata! Pensa, se sarai al mio fianco potremo dominare il mondo assieme!»
Subito tutto il popolo di Timn fu scongelato e riportato in vita; eppure il mostro continuò a ringhiare, pronto a colpire ancora.
«Non ti fidi, vero? Va bene, salverò anche la tua amata», sorrise Wint.
Schioccò le dita e magicamente la ragazza si risvegliò, tanto che il cuore di Timn fu a tal punto colmo di gioia che tornò alle sue consuete sembianze.
Si voltò, vincitore, pronto ad abbracciare l'amata. «Vattene, non farti più vedere su queste terre. Se scoprirò che sei tornato, la prossima volta non sarò così clemente.»
Colmo di rabbia e ferito nell'orgoglio, il folle re ritrasformò la mano, pronto ad uccidere il nemico. «Non ci sarà una seconda volta», urlò, lanciandosi verso Timn.
Il guerriero, mantenendo la calma, si voltò, e prima ancora che il sovrano colpisse, riuscì ad affondare un pugno nel gelido petto del sovrano. Per la prima volta, Wint sentì un calore intenso provenire dal suo gelido cuore, quasi avesse ripreso a battere; ma mentre il suo corpo si scioglieva, non provava dolore, anzi un profondo senso di pace lo confortò, quasi la sua anima stesse lasciando il gelido odio per abbandonarsi all'amore. Sorrise, mentre il suo corpo si dissolveva, rivolgendo lo sguardo verso il suo salvatore.
«Perdonami», sussurrò, prima di dissolversi come brina nel vento.
«L'ho già fatto», rispose il giovane.
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